ANNI VENTI: LA CONVERSAZIONE CLASSICA

 Gio Ponti è un architetto che ha cominciato con la ceramica. Bisogna dirlo subito: l'essere architetto non è un aspetto della sua versatilità, e la versatilità un aspetto del suo essere architetto, per il senso globale che egli dava all'architettura in ogni diversa cosa è sempre lo stesso processo mentale e la stessa mano . Da subito, progetta e promuove, insieme. Non teme il lusso e non teme la serie, perché la qualità è nella forma, e la si può diffondere. Anzi, lo si deve. Quindi, subito. Sono queste le radici del suo entusiasmo e distacco.

Lo si vede nel suo primo grande incarico (suoi padrini milanesi, allora, Augusto Richard e Guido Semenza): dal '23 al '30 il giovane Ponti ha la direzione artistica della Manifattura Richard-Ginori, e ne rinnova l'intera produzione. I famosi Grandi Pezzi e anche i piccoli pezzi del periodo Ponti della Richard-Ginori nascono nel segno della qualità nella serie L'industria è la maniera del XX secolo, è il suo modo di creare, scriveva Ponti nel catalogo dell'Expo di Parigi, 1925, dove le sue porcellane vinsero il Grand Prix. Così i mobili d'eccezione che Ponti disegna in questi anni sono paralleli ai suoi mobili di serie, mobili che disegna per Domus Nova, stimolando un grande magazzino, La Rinascente, a produrli (1927). E presenterà gli uni e gli altri (suoi e di altri) alle grandi esposizioni di allora (le Biennali e Triennali di Monza, la Biennale di Venezia). Industria, serie, diffusione, pubblicità, mostre, riviste. C'è questa allora entusiasmante sequenza. Ponti mette in contatto fra loro le industrie d'arte, Christofle con Venini. Associa, ne Il Labirinto, '27, architetti e produttori. Presenta progettisti e progetti nelle mostre che dirige. Li pubblica nella rivista che fonda.

La rivista è Domus: nasce, nel '28, per suggerimento di Ugo Ojetti, il grande giornalista, padrino fiorentino del giovane Ponti in questi anni (si allontaneranno più tardi, cavallerescamente, nel disaccordo sul gusto). Nasce quasi per gioco, come improvvisazione milanese; e rimarrà poi tale. E, all'inizio, il campo della cultura domestica neoclassica italiana, e Ponti vi combatte, scrivendo, le sue vere battaglie: quasi vinte, contro il finto antico e da vincere, contro il moderno brutto. L'editore è Gianni Mazzocchi, più giovane ancora di Ponti: procederanno insieme per anni, con alterni divorzi, grandi amici in discordia.

L'architettura viene seconda in ordine di tempo, per Ponti, dopo le arti applicate. Ma è stata molto disegnata, prima che costruita. La prima casa di Ponti a Milano, la casa di via Randaccio, è del '25. Seguita subito dalla sua prima costruzione all'estero, la villa Bouilhet a Garches, Parigi. Sono le sue due architetture più tipiche: hanno radici disegnative neoclassiche e inedite soluzioni di pianta.

Noi ora diciamo neoclassico. Ponti dirà di ispirazione classica, per l'enorme impressione che ebbi vivendo, durante la guerra, nei periodi di riposo dal fronte, in edifici del Palladio, e con la possibilità di vederne più che potevo. È un punto di partenza non programmatico che non scomparirà mai, anche se ne scompariranno le forme. In questi anni, dal 1926 al 1933, Gio Ponti è socio di Emilio Lancia, architetto.

Da "Gio Ponti, l'opera" di Lisa Licitra Ponti,1990, Leonardo Editore

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  2. Quando la Richard-Ginori vince a Parigi il Grand Prix alla Expo del 1925 (Exposition International des Arts Décoratifs et Industriels Modernes), il giovane Ponti è direttore artistico da due anni e ha rivoluzionato l'inte­ra produzione. (Ci sono, a questa Expo, due punti lumi­nosi italiani: la saletta neoclassica di Ponti e la sala futu­rista di Prampolini: colpiscono la critica francese, e si ignorano fra loro.) Il periodo Ponti ha un duplice valore, nella storia mo­derna della Richard-Ginori. Alla Manifattura Richard-Ginori di Doccia, Ponti non solo inventa e disegna (per le mani abili di allora) i famosi Grandi Pezzi d'Arte De­stinati alle Collezioni e ai Musei (da La conversazione classica a La casa degli efebi, ai Vasi delle Donne e delle Architetture). Ma anche organizza un sistema di famiglie di pezzi (da grandi a piccolissimi, dalla famiglia del Blu Ponti con oro inciso a punta d'agata alla famiglia del gran rosso di Doccia) con cui risuscita e insieme fa proliferare l'intera produzione, e la spinge alla serie. Con lo stesso spirito Ponti promuove il primo cata­logo completo della Ceramica Moderna d'Arte Richard-Ginori (con testi in italiano e in inglese), disegna lui stesso la pubblicità della Richard-Ginori in Domus, 1928, provoca i contatti della Richard-Ginori con le grandi esposizioni del momento, suscita occasioni di grandi in­terventi ambientali per la ceramica. È questo il modo con cui Ponti collabora con le industrie, e sarà così per tutta la sua vita. Con entusiasmo e distacco. (Così il suo neo­classico è un divertimento segreto: nei suoi labirinti gli angeli portano la sacca da golf) E Carlo Zerbi e Luigi Tazzini, dirigenti alla Manifattura di Doccia quando Ponti vi entrò, saranno i primi destinatari delle sue sem­pre urgenti lettere scritte e disegnate (lettere che martelle­ranno, felici, tutti i collaboratori: sono le sue lettere più belle, senza ossequio e senza sentimento): nei vasi l'ese­cuzione sia espressiva, e perfetta e bella, e le architettu­re tocchino pure un po' le nubi, non sta male: tutto il resto bene, e si facciano subito copie, e le riproduzioni de­gli oggetti venduti a Parigi siano fedelissime e accuratis­sime: è per l'onore della nostra casa, e si fotografino tutti i pezzi nuovi: manderemo le foto a Ojetti, a Parigi, a Monza: una serie o due occorrerà tenerle per Maraini, che potrebbe scrivere qualche articolo su riviste inglesi e americane: avete letto il Corriere di oggi? A Sesto Fiorentino il Museo delle Porcellane di Doccia conserva quattrocento pezzi del periodo Ponti (interno al Quinto Periodo della storia della Manifattura). La col­laborazione di Ponti si estenderà a episodi successivi ne­gli anni Trenta (e troveremo sempre le mani abili di Elena Diana) e negli anni Quaranta e Cinquanta.